''E' la mossa della disperazione. E' il segno che le sanzioni stanno funzionando''. Ecco perché Putin ora chiede rubli per pagare il gas russo
Il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato oggi che Mosca non accetterà più pagamenti in dollari o euro per le consegne di gas ai Paesi europei. Si tratta di una decisione storica che testimonia però, dice il direttore della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento Stefano Schiavo: “Come le sanzioni abbiano colpito l'economia russa in modo significativo”
TRENTO. “Putin sta usando l'unica arma che ha per cercare di bilanciare la svalutazione del rublo, determinata dai pacchetti di sanzioni applicati alla Russia dopo l'invasione”. Insomma, dice il direttore della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento Stefano Schiavo: “La decisione del presidente russo testimonia chiaramente come le sanzioni stesse abbiano colpito in modo molto significativo l'economia del Paese”.
Proprio nella giornata di oggi infatti, Putin ha deciso di richiedere il pagamento in rubli per le forniture di gas russo ai Paesi europei, rifiutando quindi di accettare le valute utilizzate abitualmente, l'euro e soprattutto il dollaro. “L'idea del Cremlino è chiaramente quella di rafforzare il rublo – dice Schiavo – creando in qualche modo una domanda 'artificiale' della valuta russa sul mercato internazionale”. Se i Paesi europei saranno obbligati a pagare in rubli le forniture di gas russo infatti, la domanda per il rublo sul mercato valutario non potrà che aumentare, portando quindi verso l'alto il valore stesso della moneta.
I mercati valutari poi, continua il direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento, reagiscono “molto velocemente” alle variazioni: “Sono molto simili in questo senso ai mercati azionari. Spesso poi gli operatori ragionano in termini di aspettative: in poche parole prevedendo un aumento del valore di una valuta gli investitori decidono di acquistarne di più, creando un circolo virtuoso che spinge verso l'alto il valore della moneta”. In poche parole, si tratta di una profezia che si auto-avvera, un meccanismo che il Cremlino spera d'innescare con queste dichiarazioni (e i primi effetti in termini di apprezzamento del rublo su dollaro ed euro si sono già fatti sentire) per fronteggiare l'effetto delle sanzioni (Qui Approfondimento).
“Come detto – continua Schiavo – si tratta di una contro-mossa che punta a ridurre gli effetti negativi della perdita di valore del rublo e le conseguenti difficoltà sul fronte, per esempio, delle importazioni. La Russia, che nel campo dell'energia è un player globale per quanto riguarda il gas, il petrolio e il carbone, sta in sostanza utilizzando una delle sue poche posizioni di forza nei confronti dei Paesi europei”. D'altro canto però, il ricorso ad uno dei pochissimi vantaggi strategici del Cremlino dimostra come la situazione dal punto di vista economico in Russia stia precipitando.
“Diciamo che in questo modo Mosca sta cercando di rendere leggermente meno efficaci le sanzioni – spiega Schiavo – che però, va ricordato, funzionano su diversi canali. La svalutazione del rublo è solo uno di questi. La decisione di Putin è una mossa disperata, che testimonia come Mosca stia cercando ogni possibile soluzione per la situazione economica in cui versa a causa delle sanzioni, che nel giro di meno di un mese hanno determinato un crollo del 40% del valore del rublo. D'altra parte è chiaro che finché non si decide di interrompere l'acquisto di materie prime energetiche dalla Russia, il Cremlino continuerà ad avere quest'arma”.
Proprio su questa questione però, spiega Gianfranco Cerea, noto economista, già presidente di Cassa del Trentino, preside della Facoltà di Economia dell'Università di Trento e storico insegnante di economia pubblica: “Bisogna distinguere le forniture di gas da quelle di petrolio. 'Staccarsi' dal primo è difficile, mentre con il secondo è più facile”. La ragione è semplice: “Le infrastrutture che permettono l'arrivo del gas sul nostro territorio non si possono realizzare dalla sera alla mattina, c'è bisogno di tempo. Con il petrolio invece è più facile lavorare per trovare della alternative alle forniture russe”.
Parlando in generale di alcune delle ipotesi messe sul tavolo nell'ultimo periodo, in particolare per quanto riguarda il raddoppio del Tap (il gasdotto che collega l'Italia con i giacimenti di gas off shore azeri nel Mar del Caspio): “Richiederebbero almeno due o tre anni - conclude Cerea - proprio perché è necessario realizzare le infrastrutture. Sono decisioni che vanno progettate e tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare, in questo caso letteralmente”.