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Come ti spacco l'Europa, Trump dice di volere la Groenlandia e la Ue fa finta di niente (con il gruppo di Visegrad e la 'solita' Italia già saliti sul carro del vincitore)

DAL BLOG
Di Raffaele Crocco - 12 January 2025

Il Risiko si concentra sulla politica e sull’Unione Europea, questa settimana. Tengono banco gli annunci dell’ormai quasi ri-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. A dieci giorni dall’insediamento, l’Europa scopre che, probabilmente, il nemico dei prossimi anni lo ha in casa e si chiama Stati Uniti. Attenzione: non sono esagerazioni legate alla sparata di Trump sulla “necessità di avere la Groenlandia per ragioni di sicurezza nazionale”. E’ una razionale analisi delle cose, che nasce da idee che il neo ri-presidente ha sempre espresso. Trump vede l’Unione Europea come una rivale e un pericolo. Solo una cosa gli interessa davvero: indebolirla e farla sparire, affossarla, cancellarla dai manuali di economia e di storia. Una missione assolutamente possibile, la sua. Sa di poter contare su molti complici interni. Lo scopriamo ricostruendo la “questione Groenlandia”.

 

Il territorio autonomo della Groenlandia è parte del Regno di Danimarca. Questo lo rende, è ovvio, parte integrante dell’Unione Europea e della Nato. Qui c’è un primo curioso interrogativo: se la Groenlandia, cioè la Danimarca, fosse attaccata da un Paese Nato, cioè dagli Stati Uniti, chi dovrebbe intervenire – come previsto dallo statuto dell’alleanza – a difenderla? La confusione di ruoli è interessante, perché in termini di accordi e di statuto della Nato, gli Stati Uniti dovrebbero difendere la Danimarca da loro stessi.

 

È solo uno dei passaggi da tenere presente. Torniamo alla minaccia di Trump, lasciamo sullo sfondo, come remota ed impraticabile, l’eventuale reale invasione. Di fatto, il rieletto presidente statunitense ha detto “voglio la Groenlandia”, cioè un pezzo di Unione Europea. Uno si aspetta, in queste casi, una veemente reazione da parte di chi rischia di vedersi privato di un pezzo di terra. Invece, la reazione della Commissione europea è stata quanto meno “tiepida”, se non ridicola.

 

Ad inalberarsi di brutto – meno male – sono state Francia, Germania e Spagna, come governi nazionali, oltre evidentemente alla Danimarca, che ha spiegato bene come la Groenlandia sia “dei groenlandesi”. Gli altri Paesi hanno abbozzato, Italia compresa. O hanno bollato la cosa come una “sparata”: è sufficiente, per capirlo, guardare lo spazio dato alla notizia nei commenti dei nostri editorialisti. Questo atteggiamento mostra, con chiarezza, come sia scarsa la percezione di “unità territoriale europea” che abbiamo nei singoli Stati. La domande, allora, sono: cosa farebbe l’Europa in caso di attacco militare statunitense? Reagirebbe come ha fatto con l’Ucraina, cioè armerebbe la Danimarca in nome del “diritto alla sovranità e indipendenza”? Interverrebbe direttamente, perché colpita realmente nel proprio territorio e nei propri cittadini?

 

Le risposte sono “no”. Non accadrebbe, per alcune ragioni. La prima – e torno sul fatto che andando così le cose il nemico lo avremo in casa – è che nel vecchio continente ci sono già migliaia di soldati americani ben armati e ci sono ottimi depositi di armi nucleari tattiche. In più, molti sistemi d’arma delle forze armate europee, ad esempio gli aerei F35 in dotazione all’Italia, sono di fatto controllati, come software, dagli Stati Uniti. Gli europei sarebbero sotto scacco in brevissimo tempo, di fatto paralizzati prima ancora di cominciare.

 

La seconda ragione, molto più realistica della prima e molto, molto più utile a Trump, è che l’Unione Europa si spaccherebbe. Trump sa di poter contare su una pattuglia di Paesi pronti a sbandierare il sovranismo puro, dopo aver succhiato per decenni risorse all’Unione. Fra questi, oltre al cosiddetto gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, repubblica Ceka e Slovacchia) ci sarebbe probabilmente l’Italia governata dalla coppia Meloni-Salvini, lestissima a saltare sul carro di Trump e a ribadire una sudditanza totale e piena nelle scelte di politica estera.

 

A dieci giorni dall’insediamento, con Trump ufficialmente ancora non operativo, il quadro è questo. Ed è un disastro. Trump vuole la fine dell’Europa per eliminare una concorrente sul mercato. Inseguirà questo obiettivo, aiutato dai Paesi europei complici, con determinazione. Lo farà con i dazi sulle importazioni. Insisterà alzando ulteriormente l’asticella dell’impegno di spesa militare richiesto per mantenere viva la Nato. Proseguirà provocando l’Unione ed escludendola dalle scelte nel Mediterraneo e, soprattutto, nel Vicino Oriente nei confronti di Israele. Riuscirà in questo modo a sfinire una Unione che non ha mai voluto e potuto trovare una vera identità.

 

Come cittadini europei, la partita da affrontare nei prossimi, lunghissimi, cinque anni sarà questa. Come cittadini del Mondo dovremo, invece, fare i conti con quel “American first” che Trump sta sventolando da sempre e che non significa – come abbiamo pensato sino ad ora – “prima gli interessi degli Stati Uniti”, ma “gli Stati Uniti saranno i primi nel Mondo”. Sarà, quella del rieletto presidente statunitense, una politica aggressiva, che se ne frega degli alleati, che lui concepisce solo come vassalli, non come Stati sovrani che hanno pari dignità. Le dichiarazioni su Canada e Panama, che secondo lui dovrebbero essere parte degli Stati Uniti, sono lì a dimostrarlo. In un Mondo spaccato, diviso fra chi sostiene Washington e chi vuole de-dollarizzare i mercati, questo significherà scontro pericolosamente aperto con tutti e fra tutti. Sì, saranno davvero cinque anni difficili quelli che stanno iniziando.

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