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Assad, una ''caduta'' durata 13 anni. Ecco perché in pochi giorni è collassato il regime, chi ha preso il potere e cosa succederà adesso

DAL BLOG
Di Raffaele Crocco - 09 December 2024

La guerra era iniziata 13 anni fa. Sembra che molti in Europa – troppi – lo abbiano dimenticato. Molti sembrano raccontare la caduta di Damasco come il risultato di qualcosa d’improvviso, iniziato il 27 novembre 2024 con la cosiddetta “Operazione Deterrenza all’Aggressione” messa in campo da diversi gruppi d’opposizione al regime dittatoriale siriano. Non ricordano che tutto era iniziato con una civile e pacifica rivolta a Deraa, nel 2011 e che tutto si era trasformato in un lungo bagno di sangue. A causarlo furono prima la sanguinosa repressione con cui Bashir al-Assad, rappresentate di una famiglia al potere da 53 anni, aveva accolto le richieste della popolazione. Poi, la trasformazione della Siria in un grande laboratorio di nuovi e precari equilibri mondiali, con tanto di alleanze militari a combattere sul campo.

 

Ora, con la caduta di Damasco e la fuga di al-Assad è tutto finto? Chissà, lo vedremo nei prossimi giorni. Certo è che in Siria i cronisti raccontano di una popolazione che danza in strada e accoglie i ribelli come si accolgono dei liberatori. Chi sono? L’organizzazione principale si chiama Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e a guidarla è Abu Mohammed al-Julani. Nato nel 1982, è legato ad al-Qaeda ed è da sempre sostenitore dell’idea di un califfato siriano, non transnazionale. Per capirci: non ama il progetto dell’Isis.

 

Con il suo gruppo, dal 2017 ha gestito il governatorato di Idlib, fra Aleppo e il Mediterraneo. Lo ha gestito tramite il cosiddetto “governo siriano di salvezza”, creato per garantire servizi civili, istruzione, assistenza sanitaria, un sistema giudiziario, infrastrutture e per gestire le finanze e la distribuzione degli aiuti. Tutto bene? No: le organizzazioni dei diritti umani hanno denunciato l’HTS, parlando di sparizioni sospette di chi si opponeva.

 

Oggi, però, l’organizzazione ha guidato l’offensiva che pare definitiva contro il governo centrale. Come informa Al Jazeera, alleati dell’HTS sono stati il ​​Fronte Nazionale per la Liberazione, Ahrar al-Sham, Jaish al-Izza e il Movimento Nour al-Din al-Zenki. A questi si sono unite fazioni filo turche, legate all’Esercito Nazionale Siriano. L’avanzata è stata rapidissima. L’esercito siriano, quello ufficiale, ora pare schierato solo nell’area vicino alle alture del Golan, annesse da Israele.

 

Gli esperti spiegano la veloce caduta di al-Assad con diverse ragioni. Prima di tutte, una crisi economica che sta mettendo in ginocchio la popolazione e che pare non avere fine. La difficoltà nel pagare gli stipendi avrebbe alienato al presidente anche il consenso di poliziotti e militari, che avrebbero rapidamente lasciato le loro posizioni. A questo si aggiunge che gli alleati storici – dal punto di vista militare – di al-Assad sono in evidente difficoltà. La Russia, impegnata in Ucraina, non ha potuto dispiegare tutto il proprio potenziale. L’Iran, invece, è in difficoltà per gli attacchi Israeliani in Libano e alle postazioni di Hezbollah, l’unica milizia che Teheran è in grado di schierare realmente.

 

Così, al Presidente non è rimasto che fuggire. E’ rimasto il Primo ministro al-Jalali, a tentare di guidare la inevitabile transizione. La grande domanda è: cosa accadrà? Il timore di molti è che la Siria si trasformi in un nuovo “stato islamico” sunnita. Questo taglierebbe le relazioni storiche con Teheran e l’Iran sciita. Inoltre, creerebbe delle incognite con Israele, perché se è vero che il distacco di Damasco da Teheran verrebbe festeggiato a Tel Aviv, è anche vero che una Siria tornata integra potrebbe riaprire il contenzioso sul Golan. Va valutata, infine, la tenuta della coalizione che ha portato alla vittoria militare. A comporla sono fazioni con obiettivi e sensibilità molto differenti e le contraddizioni potrebbero esplodere.

 

Per ora, il leader di HTS, al-Julani ha fatto sapere che “le istituzioni pubbliche rimarranno sotto la supervisione del Primo ministro, fino alla loro consegna ufficiale”. Al-Jalali, da parte sua, ha detto che “il governo è pronto a tendere la mano all’opposizione e a trasferire le sue funzioni ad un governo di transizione”. Parole concilianti, ma sul tavolo restano troppe variabili in gioco. Troppe, per pensare davvero ad una Siria finalmente in pace.

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