Il gatto Oscar, tanti brutti incontri e una sfortuna che prima o poi finirà
Ribelle quanto basta amo gli animali e in particolare i gatti. Inseguo sempre i miei sogni come quello di scrivere e da sempre racconto storie spesso e volentieri di mici e micie.
Ieri mattina sono andata a trovare i miei amici. Girando per il gattile, o meglio al centro Felix, dove ogni micio ha la sua cuccia pulita ed i suoi giochini, sorge spontaneo il desiderio di portarseli a casa tutti per renderli felici…
La signora Elena, che coordina tutte le attività, mi accompagna, e mi racconta le storie di ognuno di loro. Una vena di tristezza è sempre presente sul suo volto,. Ogni giorno, viene a contatto con le vicissitudini più strane, spesso dolorose, anche se, nel contempo, oggi è serena, perché Kevin, il gattino fotografato la volta precedente, è stato adottato.
Questa volta vi voglio raccontare le avventure di Oscar. Un gatto sensibile. Un altro gatto bianco in cerca di amore.
Sono sempre stato un tipo particolare. Fuori dalle righe. Fin dal primo giorno.
Appena nati eravamo in una cuccia morbida e calda, al sicuro, tutti insieme. I miei fratelli si chiamano Birba, pezzato a macchie nere, bianche e color cipria e Minou, nera e snella, con gli occhi azzurri che sembrano acque marine, e io. Io sono io. Bianco, tutto, completamente assolutamente bianco, slavato, con il naso chiaro ed insignificante e gli occhi gialli.
Senza personalità...mi sembra di leggere fra le righe negli occhi di chi mi guarda.
E quasi quasi quel giorno sentivo tangibile il pensiero che passava nella mente della mamma...a chi assomiglia? Mio padre è nero e snello, con due baffoni imponenti e gli occhi verde smeraldo, la mamma è a macchie nere, bianche e cipria, e i suoi occhi sono azzurri azzurri, color del mare. I miei fratelli sono vispi e giocherelloni. Io imbranato e goffo. Continuo a prendere delle pacche terribili a destra e a manca, perché ho sempre la testa fra le nuvole, e urto dappertutto.
Loro lo hanno capito, e mi fanno un dispetto dopo l'altro, ed io, preso alla sprovvista, ci casco ogni volta. Una vera frana vivente. Un assoluto disastro. Quando è l’ora della pappa, mentre loro corrono svelti e succhiano avidi il latte caldo e saporito della mamma, io arrivo sempre con l’ultimo treno, e si sa…. Chi per ultimo arriva, male alloggia.
Un giorno, un brutto giorno, noi piccoli, purtroppo, venimmo spostati ognuno in una casa diversa. Fu davvero un trauma. Mi mancavano da morire, papà , mamma e persino i miei due pestiferi fratelli. La nuova casa non mi piaceva per niente . Durante la giornata venivo confinato in uno stanzino piccolo e senza luce, perché tutti se ne andavano e avevano paura che facessi dei malanni. Il tempo non passava davvero mai. Ero imbranato sì, ma non stupido.
“Oscar stai attento, non mangiare le piante, lascia stare il pesciolino, non grattare i mobili". Come se non bastasse, dopo il pranzo, rientravano i miei persecutori, due bambini terribili, che mi facevano dispetti di ogni tipo, mi tiravano la coda, mi lanciavano per aria. Un vero e proprio incubo. La pappa era cattiva cattiva, non mi piaceva per niente, mi davano i loro resti. Dove sta scritto che un gatto che si rispetti debba mangiare la pastasciutta al pomodoro?
Il lungo inverno passò e me ne accorsi dal fatto che, quando ero libero di girare e potevo guardare dalla finestra della camera, la neve bianca e soffice sui tetti si era sciolta, ed i raggi del sole entravano prepotenti attraverso le tende. Finché una sera successe una cosa davvero strana. Erano tutti in fibrillazione, c’erano costumi da bagno, ombrelloni e valigie dappertutto. Mi misero nel portantino, e da lì in macchina, che cominciò a correre veloce per le strade, abbandonando presto le luci della città. Ad un certo punto si fermò, sul ciglio di una strada deserta. Mi tirarono fuori, aprirono la porticina e tutto si svolse in un attimo. Il rombo di una macchina. Rimasi solo. Al buio più completo.
Ed ora? Voglio la mamma, pensai. Perché?? Avevo sbagliato anche questa volta? Sfinito dal dispiacere finii con l’addormentarmi mentre i grilli mi cantavano la ninna nanna. Mi svegliai, tutto indolenzito, la mattina dopo, al sorgere del sole, Realizzai, con dolore, che era tutto vero. Avevo la pancia vuota, e molto più potente di questo, una lama mi attraversava il cuore. Ero stato abbandonato. “Micio, micio cosa fai qui da solo?”. Una ragazza in tuta si era fermata accanto a me, e mi guardava curiosa. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio , pensai e volevo darmela a gambe. Rifletti Oscar se lo fai poi che succederà? Morirai di fame o qualcuno ti farà del male.
Vincendo la mia abituale timidezza e ritrosia mi avvicinai a lei, strusciandomi sulle sue gambe , con le fusa più potenti che sia mai riuscito a fare. Aiutati che il ciel ti aiuta. Servì. Antonella, così si chiamava, mi raccolse in braccio e mi portò in uno strano posto pieno di gatti, dove c’era una signora gentile che mi dava la pappa più buona del mondo. Il paradiso. Come tutte le cose però, quando sono belle, durano poco. Dieci giorni dopo venne una signora con il bastone, dai capelli candidi, che forse, attirata dal fatto che ero bianco come lei, mi portò nella sua casa. Non era male, era luminosa, con un bel terrazzo e la mia cuccia era comoda e spaziosa. Accidenti però la pappa era veramente, veramente pessima. Non riuscivo proprio ad ingoiarla. Con tutta la più buona volontà del mondo. Tempo una settimana la signora si stufò, e mi riportò nella casa dei gatti.
Ero contento di tornare lì, ma avevo il cuore pesante. Ero stato abbandonato di nuovo. Qui le persone erano gentili, ma nonostante mi mettessero davanti ogni giorno delle leccornie meravigliose , non avevo proprio appetito. La settimana seguente venne una coppia, marito e moglie, con un bimbo, che a prima vista, sembrava simile a quello della famiglia che mi aveva lasciato sulla strada buia. Non essere prevenuto Oscar, mi dissi. Magari non è così. Mi sbagliavo. Venivo tenuto in gabbia tutto il giorno, e il bimbo mi faceva un sacco di angherie , mi tormentava dalla mattina alla sera con ogni genere di dispetti.
Finché un giorno, stufo agro, gli diedi un graffio sul braccio. Mal me ne incolse. Prese un manganello di plastica e me lo diede dritto sul naso. Sentiti il sangue che colava, insieme al mio dolore. Si avvicinò il papà del ragazzino. Mi farà giustizia, pensai. E pensai male. Si arrabbiò tanto tanto con me, mi chiuse in gabbia e mi riportò dritto dritto , di nuovo, nella casa con tanti gatti. Cosa ho io che non va? Ora sono qui non mangio da tre giorni, nonostante la signora buona abbia provato di tutto . Sono triste e ho lo stomaco chiuso. Mi spiace tanto, perché vedo che lei ci rimane male, ma davvero, per ora, non riesco.
Riuscirò mai a trovare qualcuno che mi voglia veramente bene per quello che sono?