Lupi, il progetto anti-predazioni che sfrutta gps e tecnologia ora è realtà: “Allevatori avvisati tramite sms se c’è un branco in zona”
L’ultimo esemplare radiocollarato è una femmina, ribattezzata “Cimbra”, con la sua cattura sarà possibile acquisire dati che serviranno a evitare le predazioni sugli animali domestici. Gli esperti: “Se si vogliono trovare soluzioni ci si deve attenere ai fatti evitando il sensazionalismo. Progetto replicabile? Sì, in tutto l’arco alpino, anche nei confronti degli orsi”
ASIAGO (VI). È stata ribattezzata con il nome di Cimbra, la giovane lupa catturata alcuni giorni fa sull’Altopiano di Asiago da una squadra guidata da Duccio Berzi, esperto di conservazione della fauna e responsabile delle operazioni sul campo del progetto per il monitoraggio del lupo messo in campo in collaborazione con la Regione Veneto. “Si tratta del terzo esemplare che abbiamo radiocollarato – spiega Berzi – ma per quanto riguarda il branco meridionale dell’Altopiano di Asiago è la prima cattura, una giovane femmina di circa un anno e mezzo, l’abbiamo trovata in buono stato di salute e non presentava segni di malattie. Per tutta la durata delle operazioni ha avuto un atteggiamento tranquillo e questo ci ha facilitato il lavoro”.
Arrivare alla cattura di Cimbra non è stato facile, “i lupi sono animali molto diffidenti e avvertono con facilità la presenza dell’uomo”, ricorda l’esperto, per questo i ricercatori si sono serviti di una sofisticata trappola a laccio, studiata appositamente per non ferire l’animale e non costituire un pericolo per le persone. Quando la trappola scatta i ricercatori ricevono un sms e in circa 30 minuti l’animale viene raggiunto e sedato. La lupa, una volta liberata, ha fatto ritorno al suo branco, trattandosi di una giovane femmina molto probabilmente rimarrà ancora a lungo in compagnia dei suoi simili permettendo agli studiosi di raccogliere molti dati. Il progetto infatti, nasce dalla volontà di applicare la tecnologia, in particolare la telemetria satellitare, al monitoraggio di questi predatori per comprenderne le abitudini e di conseguenza studiare delle contromisure per evitare le predazioni negli allevamenti.
Si tratta ancora di un progetto sperimentale, fanno sapere gli esperti, il primo in Europa che utilizza questo approccio e queste tecnologie, proprio per questo si stanno cercando società locali in grado di realizzare a prezzi più contenuti i sensori di prossimità, per poterli diffondere a chi ne avesse bisogno. “Vogliamo cercare di capire come mai alcune aziende vengano colpite più spesso – prosegue Berzi – dopodiché, grazie ai gps inseriti nei radiocollari, stiamo testando una serie di misure di prevenzione per organizzare meglio le difese negli allevamenti”. Un primo metodo sfrutta un sistema di recinzioni virtuali, quando un lupo entra in un’area precedentemente delimitata dai ricercatori il suo radiocollare invia un segnale in questo modo è possibile sapere in anticipo se un branco si sta avvicinando a un gregge così da poter attivare un primo livello di difese come dissuasori luminosi e acustici.
In seconda battuta, quando un esemplare si avvicina troppo a un allevamento, i proprietari vengono avvisati tramite un sms. “Gli stessi metodi – afferma Berzi – possono essere replicati in tutto l’arco alpino e in Veneto stanno dando i primi risultati. Anche gli orsi potrebbero venire monitorati con gli stessi sistemi in modo da avvisare le persone quando un plantigrado si avvicina”.
Nonostante il progetto sia ancora in una fase iniziale il monitoraggio sta già dando i primi risultati consentendo ai ricercatori di raccogliere preziose informazioni. “Abbiamo già radiocollarato due femmine che appartengono allo stesso branco che si trova sul Monte Grappa – aggiunge il responsabile del progetto Marco Apollonio – e stiamo acquisendo informazioni su predazioni e home range”. Ad esempio è stato scoperto che il territorio dei “lupi alpini” è più ampio rispetto a quelli “cugini” che abitano gli Appennini, l’home range dei primi può superare i 12mila ettari, mentre quello dei branchi che vivono più a sud si limita a un’area compresa fra gli 8mila e i 10mila ettari. Ciò può essere spiegato dalla minor densità di branchi che si rileva sull’arco Alpino.
Una seconda cosa che si è potuto constatare è che la maggior parte delle prede dei lupi è costituita da ungulati selvatici: “C’è un’assoluta prevalenza delle prede selvatiche rispetto ai domestici – conferma Apollonio – in alcuni casi i lupi si sono cibati degli scarti della macellazione, abbandonati nei pressi di un’azienda – quest’ultimo un comportamento da evitare – una buona gestione punta punta a ridurre le occasioni di incontro e scontro”. Va da sé che abbandonare carcasse di animali o scarti di macellazione non fa altro che attirare i carnivori.
Il coordinatore del progetto comunque, ci tiene a sottolineare la collaborazione che arriva dagli allevatori: “Con alcuni di questi stiamo sperimentando una serie di tecniche di dissuasione, poi devo dire che anche da parte della Regione Veneto c’è il massimo impegno”. Il progetto però non punta solo a risolvere problemi concreti di convivenza tra lupo e esseri umani: “Stiamo cercando di valutare l’impatto che i lupi hanno sulla fauna selvatica – puntualizza Apollonio – e in questo abbiamo incontrato il supporto dell’associazione cacciatori. Per trovare soluzioni bisogna conoscere la situazione, è importante acquisire dati piuttosto che ragionare le luoghi comuni. Il lupo non è né buono né cattivo, è un animale e va conosciuto come tale”.
In questo senso è stato interessante il lavoro fatto dalla Provincia di Bolzono che ha radiocollarato un esemplare e lo ha seguito nei suoi spostamenti, “se si vuole progredire – conclude l’esperto – ci si deve attenere ai fatti evitando il sensazionalismo”. Insomma, più dati si raccolgono maggiori sono le possibilità di trovare la chiave per la convivenza, a metà novembre è stato finalmente annunciato che pure in Trentino è stato attivato un progetto di monitoraggio per approfondire le ricerche sul ritorno di questo grande carnivoro.