Europee, "Il controllo sui grandi carnivori sempre più indispensabile", Mario Raffaelli (Azione): "Il ruolo europeo è indebolito per la competizione tra potenze regionali"
Dalle guerre in Ucraina e Gaza alla transizione ecologica, dalla carne coltivata ai grandi carnivori, l'intervista a Mario Raffaelli, candidato per "Azione Siamo Europei" nel collegio Nord-Est

TRENTO. "Il controllo sui grandi carnivori si rende sempre più indispensabile", queste le parole di Mario Raffaelli (Azione) candidato alle prossime elezioni europee. "Sul lupo diminuendo il suo status di specie ai sensi della direttiva Habitat, sull'orso in maniera diversa".
Politico di lungo corso, Raffaelli si rimette in gioco per il parlamento europeo con "Azione Siamo Europei", sostenuto sul territorio dalle forze politiche quali Casa Autonomia e Team K. E' stato deputato nella VIII, IX, X, XI legislatura. Tra il 1982 e il 1983 è stato sottosegretario agli Affari Esteri dei governi Craxi I e II, Goria e De Mita.
A inizio anni Novanta ha rappresentato il governo italiano nelle trattative che hanno portato agli Accordi pace di Roma tra il governo del Mozambico e Resistência Nacional Moçambicana. Tra gli altri incarichi, anche quello di presidente della Conferenza di pace per il Nagorno-Karabakh, la regione di contesa tra Armenia e Azerbaigian. Dal 2003 al 2008 è stato inviato speciale del Governo per il Corno d'Africa.
Dal 2010 al 2020 è stato presidente della sezione italiana dell'organizzazione non governativa internazionale Amref. Nel 2019 entra a far parte di Azione di Carlo Calenda, diventando responsabile tematico per la politica estera e membro della Direzione Nazionale del partito. Nel 2022, viene eletto segretario provinciale del partito per il Trentino.
Dalle guerre in Ucraina e Gaza alla transizione ecologica, dalla carne coltivata ai grandi carnivori, l'intervista a Mario Raffaelli, candidato per "Azione Siamo Europei" nel collegio Nord-Est.
Sostegno all'Ucraina, cosa pensa di quello che è stato fatto oggi? Ritiene giusto e importante fornire armi agli ucraini? Come considera le sanzioni che sono state date alla Russia?
Il sostegno all'Ucraina è stato necessario perché non è possibile accettare che la Russia possa modificare con la forza in Europa le frontiere di uno Stato indipendente, democratico. Sarebbe, tra l'altro un precedente pericoloso che incoraggerebbe la Russia a fare altrettanto negli altri paesi dove esistono minoranze russe che, essendo paesi Nato (Finlandia, Estonia e così via) provocherebbero uno scontro diretto tra Nato e Russia e, quindi, realmente il rischio di una terza guerra mondiale.
Finora l'occidente si è limitato a fornire il supporto militare per impedire che l'Ucraina crolli evitando accuratamente di fornire alla Russia il motivo per una escalation. Tra l'altro l'Ucraina nel 1994 aveva ceduto alla Russia tutte le sue testate nucleari (più di 2000) in cambio dell'impegno russo a "rispettare le frontiere del 1991" (quindi compreso Donbass e Crimea) e a "non interferire nella politica interna".
Lasciar vincere la Russia sarebbe un segnale per tutti i paesi che hanno problemi di confine che, per essere al sicuro, devono dotarsi di armi atomiche. Bisogna sostenere anche militarmente l'Ucraina fino a quando Putin si convincerà che non può vincere militarmente e quindi potrà essere disponibile ad un negoziato serio. Fino a quel momento non ci sarà la possibilità di una pace equa ma solo due ipotesi: il crollo dell'Ucraina (per ridotto appoggio degli occidentali) e potenziale destabilizzazione (prima o poi) dell'intera Europa o un congelamento per decenni del conflitto come fra le due Coree.
Il ruolo europeo nello scacchiere internazionale, si è rafforzato o indebolito nel corso degli ultimi anni? Serve un esercito comune?
Il ruolo europeo risulta indebolito perché il contesto internazionale si è deteriorato negli ultimi anni. Viviamo in un mondo multipolare dove, oltre alle due superpotenza (Usa e Cina) in competizione vi sono molte potenze regionali che svolgono un ruolo aggressivo sul piano economico e spesso anche militare. La Russia, la Turchia, l'Iran, l'India, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti per fare alcuni esempi.
Serve quindi sviluppare una difesa comune anche per non dipendere esclusivamente dagli Usa e dalla Nato. Per un esercito comune occorre una decina d'anni ma si può partire subito con l'istituzione della figura di un commissario europeo alla difesa e l'applicazione immediata di una decisione già assunta ad Helsinki nel 1999: l'istituzione di un primo nucleo di 60.000 militari con un appoggio aereo e navale e un comando unificato che sarebbero sufficienti come forza di deterrenza o di primo intervento.
Si potrebbe poi dare vita ad un progetto comune di "Iron Dom" europeo (una copertura difensiva per ogni attacco aereo o missilistico) e, soprattutto, mettere a fattore comune i bilanci della difesa dei 27 Paesi (un totale che sarebbe secondo solo agli Usa) permettendo di unificare gli standard, evitare le acquisizioni dall'estero, creare progressivamente un unico esercito efficiente e riuscendo così perfino a risparmiare circa 28 miliardi di dollari all'anno.
Nella guerra Israele – Hamas, cosa bisogna fare?
Si tratta di un problema ancora più complesso di quello ucraino perché mentre li c'è una chiara ragione e un chiaro torto, in Medio Oriente torti e ragioni si intrecciano. Va sempre ricordato che nel 1948, con la Risoluzione 181, l'Onu decise a maggioranza (ma con l'accordo di Usa e Urss) una ripartizione del territorio per lo Stato di Israele e per quello Palestinese (la riproposizione della soluzione "due Stati per due popoli" nasce da lì). Tale risoluzione fu accettata dagli ebrei e nacque così Israele ma rifiutata dai paesi arabi (la rappresentanza politica dei palestinesi, l'Olp, non esisteva ancora) che attaccarono militarmente Israele cercando di impedirne la nascita. I paesi arabi vennero sconfitti e la conseguenza fu l'esodo massiccio dei palestinesi. Va ricordato che il territorio previsto allora per i palestinesi era maggiore di quello di cui si parla oggi.
La colpa di Israele, invece, è quella di aver sistematicamente ostacolato la corretta applicazione degli accordi raggiunti da Arafat e Rabin (che fu ucciso da un estremista ebreo per quell'accordo). Cosi come altri tentativi successivi fino a cercare di rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese attraverso una colonizzazione crescente e illegale della Cisgiordania (o West Bank).
Oggi la situazione è terribilmente difficile Perché sia Netanyahu che Hamas non hanno alcun interesse ad una vera soluzione. Netanyahu perché sa che perderebbe il potere due minuti dopo (e rischierebbe il carcere) Hamas perché non vuole una soluzione "due stati per due popoli" e nemmeno "uno stato unico con eguali diritti per tutti" ma solo uno Stato palestinese "from the river to the see".
I due estremismi, quindi, si sostengono a vicenda e se non si rompe questo circuito vizioso (è noto che Netanyahu ha incoraggiato la crescita di Hamas lasciando passare i finanziamenti dal Qatar per indebolire l'Autorità Palestinese). Quindi bisogna innanzitutto far cessare la violenza a Gaza dove la reazione israeliana, inizialmente giustificata, è ormai arrivata al livello di veri e propri "crimini di guerra". Successivamente bisogna coordinare uno sforzo fra paesi arabi, occidentali e comunità internazionale per ideare una fase di transizione per il controllo di Gaza dopo il ritiro degli israeliani.
Ovviamente, perché si possa passare da una situazione di "tregua" a una vera soluzione politica saranno necessari molti sforzi per far emergere nelle due parti delle leadership più moderate ed aperte al dialogo. Non sarà facile, perché la brutale aggressione terroristica del 7 ottobre ha traumatizzato anche la parte progressista della società israeliana, così come la sconsiderata e sproporzionata reazione del governo israeliano non può che aver esacerbato i sentimenti del popolo palestinese. Eppure é l'unica strada da percorrere e, su questo, l'Europa dovrebbe fare molto di più.
Uno dei punti fondamentali nella prossima legislatura europea sarà la transizione ecologica. Lei ritiene che bisogna accelerarla oppure rallentarla? Quale dovrebbe essere, secondo lei, il primo provvedimento da mettere in campo?
La transizione ecologica è certamente un tema prioritario ma il "Green Deal" attuale prevede tempistiche in qualche caso irrealistiche e in altri aspetti non coniuga la necessità della transizione con la sua necessaria sostenibilità economica. Per esempio é richiesto un tasso medio di installazioni di rinnovabili pari al 5,4% fino al 2030, anche se negli ultimi trent'anni é stato solo dell'1,1%.
Inoltre ci sono elementi di pura ideologia come l'obbligo di ridurre le emissioni solo attraverso l'energia rinnovabile negando la libertà di scegliere le tecnologie più adeguate a raggiungere l'obiettivo. Ad esempio la Germania, al contrario della Francia, è considerata virtuosa, pur emettendo nel settore elettrico 9 volte più CO2 di quest'ultima che da anni abbatte le emissioni grazie al nucleare. Lo stop alle auto a combustione nel 2035 è valutato male perché difficilmente l'infrastruttura capillare di ricarica veloce e la rete di alimentazione potranno essere sviluppate in tempi così brevi (per i 30 milioni di veicoli elettrici attesi in Europa al 2030 occorreranno circa 7 milioni di stazioni di ricarica).
I costi di ristrutturazione per l'efficientamento energetico degli edifici rischiano di superare i risparmi in bolletta e non sono sostenibili per i proprietari senza un sostegno diretto UE. Bisogna quindi rivedere numeri, tecnologie, scadenze e fonti di finanziamento alla luce di analisi di impatto specifiche per ogni Stato, investendo al contempo nella ricerca e sviluppo di tecnologie green che utilizzano materiali più disponibili , potenziando l'estrazione di quelli rari. Non per eludere il tema ma per renderlo realisticamente raggiungibile.
Il tema della carne coltivata ha fatto molto discutere. La sua introduzione è positiva o negativa? Perché?
Quando parliamo di carne coltivata più che di cibo parliamo di politica. Vessillo bianco dei progressisti o stendardo nero dei reazionari, è stata strumentalizzata in ogni campagna elettorale in positivo o negativo facendola diventare qualcosa di mitologico. In realtà non é altro che un alimento ultra processato che è nato in un momento in cui al dibattito politico faceva comodo avere un drappo da sbandierare in tema di alimentazione. Come mai era accaduto in passato.
Per esempio, nessuno si è mai sognato di fare la morale all'uso del surimi (una sorta di amalgama di proteine a base di pesce venduto come "polpa di granchio") eppure lo troviamo nei supermercati e nei piatti senza discussioni. A determinare lo sviluppo o meno della carne sintetica non sarà quindi la politica ma la popolazione mondiale con i suoi gusti e le sue tendenze. D'altra parte, dopo gli Ogm, è stato il turno dell'allevamento degli insetti e, adesso, quello della carne sintetica. La politica, invece di dedicarsi a polemiche furiose e astratte dovrebbe preoccuparsi di monitorare attentamente questo settore dal punto di vista normativo. Tenendo anche conto di un rischio concreto e largamente sottovalutato. Che la carne sintetica non diventi il cibo per chi, quella vera, non se la può permettere.
Gestione della fauna selvatica, orsi e lupi vanno tutelati oppure oggi occorre abbassare il livello di protezione?
Orso e lupo sono accomunati da una codifica nella letteratura scientifica mondiale che li definisce entrambi grandi carnivori. Per la zoologia il vero e unico carnivoro, tra i due, è il lupo ma qui interessa la loro biologia e diffusione. In ambito biologico, secondo il monitoraggio nazionale della specie del '20/'21 (ma anche i dati europei lo confermano) il lupo non è più una specie in via di estinzione.
Da qui risulta possibile e opportuna la redazione di adeguati piani di gestione per mitigare gli effetti della loro attività biologica soprattutto sulle produzioni zootecniche. Colpite anche dall'orso ma in maniera più sporadica e, senz'altro, in minor grado. Sempre dal punto di vista biologico il plantigrado si è dimostrato invece, estremamente interattivo, rendendosi responsabile anche in Trentino di numerosi falsi attacchi e di qualche autentica tragedia. Per motivi diversi, quindi, il controllo sugli esemplari si rende sempre più indispensabile. Sul lupo diminuendo il suo status di specie ai sensi della direttiva Habitat, sull'orso in maniera diversa.
Le prerogative, in questo secondo caso, ci sarebbero già tutte, per di più di impronta autonomista. Il condizionale però è d'obbligo perché da sempre sia i provvedimenti leggeri che quelli più incisivi sono stati vittime della melina tra giustizia, politica e amministrazione. Tutti invocano l'Europa ma, in questo specifico caso, non è l'unico attore da dover coinvolgere.