Da Gaza all'Iran: il Medio Oriente sull'orlo della guerra totale a un anno dal massacro di Hamas. “La sicurezza di Israele non può passare dalla sola forza militare”
La tragedia umanitaria a Gaza, il nuovo fronte in Libano e la tensione sempre più alta tra Israele ed Iran: nell'anniversario del massacro di Hamas, il direttore della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento, Stefano Schiavo, fa il punto sulla situazione nel tesissimo teatro mediorientale
TRENTO. Sono moltissime le direttrici che s'intrecciano nel primo anniversario del sanguinoso attacco con il quale, il 7 ottobre del 2023, i miliziani di Hamas sono penetrati nel territorio israeliano uccidendo 1200 civili e rapendone circa 250 (ad oggi un centinaio di prigionieri sono ancora nelle mani dell'organizzazione terroristica). All'operazione di Hamas è seguita una durissima reazione militare da parte israeliana, che nel giro degli ultimi 12 mesi ha portato alla morte di oltre 40mila persone a Gaza, congelando tra l'altro il percorso di normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e Arabia Saudita. Si tratta dell'ultimo, sanguinoso, capitolo nell'ambito del conflitto israelo-palestinese che, al netto del tragico conteggio delle vittime, ha portato l'intera regione sull'orlo di una guerra totale, mentre le forze dell'Idf si sono portate da giorni a Nord, in Libano, e lo spettro di uno scontro diretto tra Israele e Iran si fa sempre più concreto. Per fare il punto sui questi 12 mesi e analizzarne l'impatto nel tesissimo teatro mediorientale, il Dolomiti ha contattato il direttore della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento, Stefano Schiavo.
Professore, a un anno dall'attacco di Hamas lo scenario attuale era in qualche modo prevedibile? Le autorità israeliane avevano preventivato il progressivo allargamento del conflitto che stiamo osservando?
Credo che all'8 di ottobre nessuno avrebbe mai immaginato che, ad un anno di distanza dall'attacco di Hamas, la situazione sarebbe stata così tesa. Gli israeliani in primis si aspettavano sì una risposta decisa, ma all'interno di un conflitto relativamente breve, come brevi sono state le deflagrazioni che periodicamente erano state registrate a Gaza con Hamas. Nelle ultime due settimane invece abbiamo assistito ad un ulteriore allargamento del conflitto, in maniera molto decisa. Si tratta di fatto di uno dei grandi timori che da tempo gli analisti avanzano per l'area: la discesa in una guerra aperta a livello regionale. Attualmente non siamo ancora a quel punto, ma gli ultimi sviluppi spingono fortemente in quella direzione. Basti guardare all'ultimo scambio di colpi tra Iran e Israele: siamo in una fase di escalation nella quale ad ogni azione ne corrisponde una più intensa, avvicinando la possibilità di uno scontro diretto tra i due Paesi. Un'eventualità, ovviamente, ben più disastrosa rispetto a quanto stiamo osservando oggi.
Guardando alla situazione su scala regionale, a oggi qual è il rapporto di forze tra Israele e Iran? Come possiamo interpretare il prolungarsi del conflitto e lo sconfinamento in Libano?
Rispetto a 1 o a 6 mesi fa, in questo momento Israele si è rafforzato dal punto di vista militare, riguadagnando una posizione di forza tramite una serie di azioni violente innanzitutto dal punto di vista della credibilità. Le forze armate israeliane hanno ricostituito, anche a livello di percezione, una capacità di deterrenza dei confronti di Hezbollah, di fatto 'decapitato' e debilitato dopo i bombardamenti mirati ai leader e l'operazione che ha portato all'attacco coordinato con cercapersone e pager esplosi. Quest'ultima azione in particolare ha dimostrato la capacità di Israele di infiltrarsi in organizzazioni terroristiche e di entrare sul campo tramite i servizi di intelligence. Capacità che, dopo il 7 ottobre e il massacro di Hamas, era stata messa fortemente in dubbio. Dall'altra parte invece l'Iran, nella sua strategia legata all'utilizzo di proxy per la destabilizzazione della regione, è stato fortemente indebolito, come indebolite sono state per l'appunto le forze che fanno riferimento a Teheran, da Hamas a Hezbollah.
Il rischio di un scontro diretto tra Israele e Iran è quindi concreto?
Qualcuno ipotizza che l'assassinio di Nasrallah (leader di Hezbollah dal '92 ndr) sia stato una sorta di 'tranello' teso da Israele proprio per suscitare una reazione militare da parte di Teheran e aver quindi la giustificazione, dopo un attacco diretto a Israele, di intervenire a sua volta in territorio iraniano. Il riferimento è quindi alle operazioni di cui si parla da giorni e che hanno già ricevuto un qualche avvallo dalla casa Bianca, per portare avanti attacchi alle strutture nucleari o petrolifere iraniane. Guardando in ogni caso all'attacco degli scorsi giorni da parte di Teheran, l'impressione è che si sia trattato di un risposta fondamentalmente simbolica, per non perdere la faccia sul fronte interno. È chiaro che in questo momento l'Iran non cerchi un conflitto su larga scala con Israele, in particolare se consideriamo la difficile situazione nella quale si trova attualmente il regime, con una situazione economica e sociale estremamente problematica e una guida suprema, l'Ayatollah, ormai 85enne e senza un chiaro successore.
Dopo l'ingresso delle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza, con la relativa tragedia umanitaria che ha portato a decine di migliaia di vittime, ora il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha di fatto aperto un nuovo fronte a Nord: qual è la strategia di Tel Aviv in Libano?
Nel breve termine l'obiettivo dichiarato è colpire Hezbollah, che da un anno sta colpendo senza sosta il nord di Israele costringendo all'evacuazione circa 60mila cittadini, con operazioni molto mirate. Ma nessuno in questo momento conosce la strategia a lungo termine di Netanyahu, forse nemmeno il premier israeliano stesso. E qui credo stia la contraddizione e l'errore strategico più grande: la sicurezza di Israele non passa e non può passare solo dalla forza e dalla supremazia militare. Questo tipo di ragionamento è di fatto un errore strategico. La questione è la stessa che si è posta dopo il 7 ottobre: ovviamente le autorità israeliane hanno reagito in maniera forte, a livello militare, all'attacco per ridurre fortemente la probabilità che un'azione del genere potesse ripetersi nel breve termine. Ma la vittoria 'totale' promessa dal premier israeliano è impossibile, gli stessi generali dell'Idf sono scettici: che significato può avere una promessa del genere contro un attore non statale come Hamas? Guardando al Libano invece, il rischio di entrare in una guerra lunga e sanguinosa, come già avvenuto in passato, è forte, anche se attualmente è stata stanziata nell'area una sola divisione, contro le tre impiegate a Gaza. Come anticipato, credo sia un errore pensare di garantire la sicurezza di Israele attraverso la sola forza militare, colpendo prima Gaza, poi il Libano e poi l'Iran, magari con raid mirati: ciò che è successo il 7 ottobre è anche il risultato di una completa mancanza di una strada politica per la risoluzione del conflitto. Mancanza che ha portato i palestinesi a trovarsi, di fatto, in una situazione in cui hanno poco da perdere. La loro posizione è ormai marginale anche negli Stati arabi cosiddetti 'moderati', che a loro volta, come Stati Uniti e Unione europea, non sono riusciti a fornire una prospettiva politica, né a giocare un ruolo chiave per trovare una soluzione negoziata al conflitto. E la mancanza di questa prospettiva politica è la radice del problema di sicurezza per Israele. Finché non si troverà una soluzione lo Stato ebraico non potrà sentirsi al sicuro.
Ma ad oggi una soluzione del genere, visto quanto avvenuto negli ultimi 12 mesi, è ancora immaginabile?
È complicato. Già un anno fa non c'era nessun piano, nessuna proposta completa sul tavolo: oggi anche quelle passate non sono credibili. In passato, almeno per i primi 40-50 anni di vita dello Stato ebraico, Israele ha effettivamente garantito la propria esistenza e la propria sicurezza attraverso la vittoria di una serie di guerre, ma al netto del massacro compiuto da Hamas ad oggi la situazione, a livello militare, è ben diversa. Israele non ha di fatto competitor nelle immediate vicinanze sul fronte militare, un po' per la presenza di accordi di pace un po' per l'effettiva debolezza delle potenze confinanti. L'unica vera minaccia è, appunto, l'Iran, che possiede la forza e le capacità tecniche adeguate. Va poi considerato che la contrapposizione con Israele è uno dei pochi elementi sul quale il regime può basare la propria legittimità: in questa direzione si muove la rete di attori sponsorizzati da Teheran che da anni sta agendo per conto dell'Iran dando il via ad una serie di conflitti di portata inferiore. In questo senso le azioni di Israele contro Hamas ed Hezbollah hanno effettivamente indebolito, come detto, il regime di Teheran, ma la risposta militare non può essere una garanzia di sicurezza a lungo termine. Di fatto però nella situazione attuale è impossibile immaginare una soluzione politica e bisognerà progredire quindi per gradi, partendo da accordi per un cessate il fuoco e da una progressiva de-escalation che apra la strada a un possibile negoziato complessivo in futuro. Sarà imperativo coinvolgere gli Stati arabi e al contempo tagliare fuori l'Iran, riducendo la sua influenza sulla regione. Di fatto però in questa fase le prospettive politiche sono azzerate ed è questo, credo, una delle più grandi sconfitte per l'attuale governo israeliano.