''La vita non è sempre facile'', il post di Baggio a 30 anni da Pasadena e quelle lacrime collettive che hanno rincollato il vaso spaccato rendendolo più bello
Direttore de il Dolomiti
“La vita non è sempre facile. Se lo fosse non cresceremmo né progrediremmo come esseri umani. Se riusciamo in qualcosa siamo spesso invidiati; se manchiamo uno scopo siamo ridicolizzati e attaccati. Purtroppo le persone sono così. Dolore e sofferenze inattese possono ritrovarsi sul cammino di ognuno. Ma è proprio nel momento in cui incontrate queste prove che non vi dovete far sconfiggere. Non mollate mai. Non retrocedete mai.”. Questo quanto pubblicato da Roberto Baggio sulla sua pagina Instagram ieri sera.
La frase è di Daisaku Ikeda, filosofo, maestro buddista, pacifista e attivista giapponese e sotto, a corredo del post, la foto di lui, Divin Codino, in maglia Azzurra a Pasadena, in quel 17 luglio del 1994, con le 'braccia a brocchetta' appoggiate sui fianchi e lo sguardo sconsolato dopo aver perso la finale dei Mondiali ai rigori. In primo piano, sfuocati, i manoni di Tafarel, portiere brasiliano, che indicano il cielo come gesto di esultanza per aver vinto la Coppa del Mondo.
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Un momento iconico che ha segnato la vita di Baggio, indubbiamente, ma ha rappresentato uno spartiacque anche per milioni di italiani. Lo ha rappresentato senza dubbio per i tanti bambini e ragazzi che quel giorno, davanti ai televisori mentre la voce di Bruno Pizzul ripeteva ''il Brasile è Campione del Mondo'', piansero assieme a capitan Baresi. Il post di Baggio è arrivato a 30 anni di distanza a dimostrazione di quanto quel rigore sbagliato resti un tormento per il campione di Caldogno.
Ma, come recita Daisaku Ikeda, è rialzandosi dopo gli sbagli che si costruisce la vita. Quel rigore sbagliato ha fatto innamorare del calcio gran parte di quei bambini e ragazzi che hanno pianto quel giorno davanti ai televisori. Ha reso una cavalcata straordinaria, quella delle fasi a eliminazione diretta di Usa '94 (il girone era stato una sofferenza) di quei mondiali, con un Baggio pazzesco diventato capopopolo a suon di gol, assist e giocate uniche (non per niente era il Pallone d'Oro uscente), incompleta. E si sa che quando qualcosa resta incompiuto la spinta, in questo caso anche collettiva, a voler reincollare i cocci di quel vaso spaccato in mille pezzi è ancora più forte. E così da quel momento nessuno ha più abbandonato il Robertino Nazionale, per tutta la durata della sua carriera calcistica e ancora adesso, a 20 anni da quel 16 maggio 2004, da quel Milan-Brescia con Maldini che corre ad abbracciarlo mentre lui esce dal campo tra le lacrime di tutto lo stadio. Insomma 'da quando Baggio non gioca più' e 'non è più domenica'.
Roby con la frase postata ieri si è forse 'perdonato' dopo 30 anni. Noi tutti l'abbiamo perdonato il giorno stesso che ha calciato alto quel rigore e non per niente è e resterà il calciatore italiano più amato da tutti. L'avesse vinto, quel Mondiale, avesse fatto gol come in quella pubblicità che ha cercato di cambiare la storia, tutto sarebbe stato diverso. Roby avrebbe rivinto il Pallone d'Oro, per esempio, senza dubbio e sarebbe stato un campione 'tondo', compiuto, perfetto. Ma vuoi mettere la bellezza di rincollare i pezzi di un bellissimo vaso rotto, mese dopo mese, anno dopo anno, tutti insieme assieme a lui, come un grande Kintsugi di comunità. Ovviamente usando la colla con l'oro perché alla fine, come dicono i giapponesi, il “vaso rotto diventa ancora più bello di quanto già non lo fosse in origine”. E quel momento resta perfetto così, nella sua tremenda imperfezione, con i manoni di Tafarel che indicano il cielo, il Brasile che festeggia e Roby che dopo aver tenuto le 'braccia a brocchetta' e lo sguardo basso verso il campo, dà uno sguardo anche lui verso il cielo, quasi si scuote e riprende a camminare tra le nostre lacrime attraverso altri 10 anni di calcio unico e tormentato. Il calcio vero.