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Ingenuità o furbizia: il caso doping norvegese

I dominatori degli sci stretti della Norvegia sono stati pizzicati per doping. Recenti i casi dei campioni Therese Johaug e Martin Jonsrund Sundby positivi ai controlli. Il dottore della nazionale Bendiksen si è dimesso. I microdosaggi possono migliorare la prestazione tra il 5 e il 10% a parità di allenamento
Da sx Therese Johaug e Martin Jonsrund Sundby
DAL BLOG
Di Livio Zerbini - 23 October 2016

Fsioterapista, preparatore atletico negli sport di squadra e consulente sport individuali (sci di fondo, ciclismo, atletica) sia per amatori che atleti professionisti.

Venti secondi è il tempo che si impiega a digitare in google “wada list” (lista ufficiale delle sostanze dopanti), entrare nel sito Wada (world antidoping agency) e cercare clostebol nell'apposita finestra di ricerca. Il clostebol appare in undicesima posizione nella lista delle sostanze proibite sotto la voce steroidi anabolizzanti androgenetici.

 

Il clostebol è uno steroide che ha un’azione simile al testosterone. Per semplificare, lo potremmo considerare un blando testosterone, quindi con effetti meno evidenti di quelli associati al testosterone puro sul miglioramento della performance, ma anche con effetti collaterali (mascolinizzanti) minori rispetto a quelli indotti da altri steroidi (Schanxer et al 1993). Per questo motivo era molto usato ed apprezzato dalle atlete della Germania dell’Est.

 

La scorsa settimana Therese Johaug, campionessa norvegese dello sci di fondo, è risultata positiva al clostebol. È una notizia esplosiva in quanto la Johaug è una star nel suo paese (paragonabile ad una Federica Pellegrini da noi) e soprattutto perchè la rivelazione arriva a poca distanza da quella di un altro caso di doping, riguardante Martin Jonsrund Sundby, anch’egli norvegese e dominatore delle ultime stagioni dello sci di fondo maschile.

 

Per chi non li conoscesse, Sundby e la Johaug hanno vinto gli ultimi Tour de Ski, arrivando per primi in cima alla salita del Cermis nella spettacolare tappa finale che si tiene da ormai dieci anni in Trentino.

 

La Norvegia nello sci di fondo è come il Brasile nel calcio: ha vinto più di tutti e negli ultimi anni la sua supremazia è stata così schiacciante da togliere quasi un pò di spettacolo. E se da noi lo sci di fondo è considerato uno sport “povero”, gli atleti sopramenzionati riescono a guadagnare anche 2 milioni di euro all'anno tra premi, ingaggi e sponsorizzazioni.

 

La Johaug ha scaricato tutta la colpa sul medico della nazionale norvegese Fredrik Bendiksen, reo di averle dato una crema (il Trofodermin a base di clostebol) per curarle una scottatura sulle labbra. Il dott. Bendiksen si è assunto tutta la colpa, dimettendosi dal ruolo di medico della nazionale (che come posizione equivale al medico della nazionale italiana di calcio), dicendo di non aver controllato la composizione del farmaco acquistato in una farmacia di Livigno (dove la nazionale norvegese si trovava in ritiro).

 

La linea difensiva appare tuttavia molto debole, almeno per due aspetti. Il dott. Bendiksen (come si evince dal suo profilo Linkedin) è stato per otto anni consulente medico per la Norvegia della Pfizer, l’azienda che produce il Trofodermin. Ora, che non sapesse che quel farmaco contiene una sostanza facilmente rintracciabile dalle analisi anti-doping appare quantomeno singolare.

 

Ma c’è di più. In letteratura scientifica sono citati casi di contaminazione non intenzionale da clostebol, ad esempio assunzione di carne trattata con ormoni (Debruyckere 1992) o contaminazione da uso di crema (Pereira 2004). In particolare, il rischio di contaminazione da clostebol legato all'uso del Trofodermin è ben noto nel mondo sportivo.

 

Quest’estate, due atlete italiane (Caputo nella vela e Toth nel beach volley) che dovevano andare all'olimpiade di Rio sono state fermate per la stessa “leggerezza”. Dal 1993 ad oggi, sono almeno una trentina gli atleti sospesi per uso intenzionale o per assunzione accidentale di Clostebol.

 

Sembra quindi strano che un’atleta del calibro della Johaug possa rischiare fino a due anni di squalifica (in attesa della sentenza è stata sospesa per due mesi) per aver usato una crema contenente un prodotto dopante per curare una scottatura sulle labbra. Delle due l'una: o si tratta di un’ingenuità gigantesca (e, come scritto in apertura blog, bastava digitare la composizione degli ingredienti del farmaco nel motore di ricerca della Wada per scoprirlo), oppure si vuole nascondere altro.

 

E chi sostiene che la quantità (non ancora nota) sia così bassa da non poter avere un effetto dopante, ricordo che purtroppo è in voga da molti anni nel mondo dello sport professionistico l’abitudine di usare prodotti dopanti in dosi molto piccole (quindi difficilmente rilevabili) per facilitare soprattutto il recupero notturno dopo sforzi intensi.

 

Non esistono dati scientifici che dimostrino l’eventuale efficacia di microdosi di sostanze dopanti, ma solo testimonianze di ex atleti che hanno usato queste pratiche e che riportano benefici soprattutto nel miglioramento dei tempi di recupero dopo sforzi intensi.

 

Ingenuità o furbizia: forse nemmeno il tempo ci darà la soluzione, rimane il fatto che quando ci sono nazioni che dominano nettamente sulle altre, qualche ragionamento e qualche domanda in più conviene sempre farsela in quanto metodiche di allenamento diverse non cambiano le prestazioni più di un 1%, mentre l’uso di determinate sostanze può determinare un miglioramento tra il 5 e il 10% a parità di allenamento.

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