I termini usati da Trump e dal suo entourage colpiscono le categorie fragili, ma le parole hanno un peso e possono costruire un mondo diverso
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Amo raccontare frammenti di vita e tutto ciò che lascia un segno
Le parole pesano. Lo dico sempre ai miei ragazzi e alle mie ragazze. Se esistono nella stessa lingua parole diverse, non dicono mai la stessa identica cosa. Hanno sfumature diverse. Producono un effetto diverso. Costruiscono un mondo diverso.
Sento, nella scuola, usate per offendere parole come "dislessico", "gay", "handicappato". Allora, come docente, ti prendi il tempo. I ragazzi stessi si prendono il tempo per fermarsi. Per capire se quelle parole, che dicono di usare per scherzo, invece, feriscono. Per provare a rispettare la bolla che ognuno di noi ha attorno a sé.
Siamo noi adulti ad avere la responsabilità di rendere visibili i limiti del rispetto e le situazioni in cui quei limiti vengono oltrepassati. Chiaro che, se vogliamo muoverci in questa direzione, dobbiamo mostrare coerenza. Dobbiamo essere i primi, noi adulti, ad usare bene le parole. Non per ferire, ma per costruire.
In questo ragionamento non trovano spazio i termini nobilitati nell'uso da Trump e dal suo entourage, che vanno, chiaramente, a colpire le categorie più fragili. Come possiamo legittimare che una persona con un handicap sia definita "idiota" oppure "imbecille"? Questa deriva non è una insignificante questione linguistica, ma una direzione che taluni stanno prendendo. Ma ci possiamo distanziare. Possiamo e dobbiamo farlo.
E possiamo anche sorridere di alcune parole, come "ignorante" ed "imbecille". Ma solo ripensando alla famosa scena del film di Aldo, Giovanni e Giacomo, in cui "ignorante" è colui che ignora, così come "imbecille" è colui che "imbelle". Il resto è solo una disumana deriva nell'uso delle parole.