Climbing Iran, hijab e montagna due elementi agli antipodi: da una parte l’oppressione del regime, dall’altra la libertà della natura
Per creare un coinvolgimento più ampio e inclusivo attorno alla causa climatica ed ecologica
di Daniele Federico
Sicuramente tutti ricorderemo come l'atleta iraniana Elnaz Rekabi abbia gareggiato senza velo a ottobre, sfidando le rigide regole del regime. Questa storia, che molto ha in comune con le nostre storie di montagna, ci parla di arrampicata e di libertà. Nel 2005, quando aveva 23 anni, Nasim Eshqi iniziò a praticare l’arrampicata sportiva, nonostante sia uno sport molto poco diffuso fra le donne del suo paese ma molto praticato nelle nostre Alpi.
Oggi è la numero uno in Iran e una delle atlete iraniane più famose all’estero. Il documentario racconta come la montagna l’abbia salvata, ed è stato premiato nel 2021 al Trento Film Festival con il premio Premio del pubblico Miglior Film di Alpinismo – Rotari. La regista esordiente Francesca Borghetti era alla ricerca di una storia su cui basare un lungometraggio per documentare la condizione delle giovani donne iraniane. Ad un certo punto si imbatté in Nasim, nata nel 1982 e diventata in pochi anni la più brava arrampicatrice sportiva di tutto il suo paese.
Inizia da qui un viaggio di contrapposizione fra il movimento verticale della montagna e l’orizzontalità, la democratizzazione, che permette. E capiamo anche perché l’ambiente montano abbia creato un legame particolare con gli iraniani e le iraniane. Nelle prime sequenze, “Climbing Iran” mostra la vita di Nasim fin da bambina ed entrando subito nel vivo delle domande mai banali sulla condizione femminile. Si vede poco delle solite immagini sul traffico di Tehran dei documentari sull’Iran. Ci vengono mostrate delle foto di famiglia, di quelle a pellicola tanto poco nitide ma così dense di dettagli significativi. La voce di Nasim ci guida fra le fotografie.
Cosa accade quando una bambina iraniana cresce e a un certo punto della sua crescita le viene imposto il velo? A che età avviene? Questo passaggio è sempre un trauma? In che modo le cambia la vita? Rispondendo a queste domande impariamo a conoscere il carattere di Nasim, che non è come le sue coetanee e non è neppure come la sorella. Il suo diventa un percorso di indipendenza e di riscatto che la porterà a scalare le montagne dell’Iran e non solo.
Il documentario passa lo sguardo sulle montagne asciutte e brune dell’Iran, i viaggi in auto con gli amici, l’hijab che appare e scompare a seconda della situazione.
L’hijab e la montagna costituiscono i due elementi visuali agli antipodi: da una parte l’oppressione del regime, dall’altra la libertà e la protezione dell’elemento naturale. Infine, le contraddizioni e i paradossi tipici dell’Iran. Chi ci è stato lo sa. Chi no, ne avrà sentito parlare. Se Nasim fosse nata altrove sarebbe diventata la campionessa che è diventata oggi? Rispondere è inutile ma riflettere su questa domanda ci fa capire le sue scelte di vita soprattutto nella parte finale del documentario. La sensazione è che questa seconda parte poteva essere approfondita un po’ di più e finiamo col volerne sapere di più.
Abbiamo visto tanti documentari sulla montagna. Storie di sfide, di sacrificio, di limiti superati. Ed è molto probabile che avremo visto documentari sui diritti umani. Storie di sofferenza, di minoranze e di riscatto. Climbing Iran li unisce e il risultato è più della somma.