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Il viaggio da Bressanone alla Germania e il parallelismo con gli immigrati. Come può esserci un’Europa? La lealtà diventa una parola chiave

La scrittrice italo-tedesca Maxi Obexer racconta il suo viaggio da Bressanone alla Germania. La linea narrativa del libro è condotta su un parallelismo: l’itinerario verso nord e il percorso di "naturalizzazione" dell’autrice, che da altoatesina di madrelingua tedesca si è trasferita a Berlino e aspira alla cittadinanza, e quello, nello stesso Eurocity che corre verso il Brennero, di un gruppo di ragazzi immigrati che quella linea di confine non riusciranno a valicarla
DAL BLOG
Di Il Lanternino - 16 agosto 2020

di Stefano Zangrando, docente, traduttore e autore

Cos’è rimasto, nella memoria collettiva europea, di ciò che è accaduto nell’estate 2015? Quella che è stata chiamata un po’ impropriamente “crisi dei migranti”, mentre non fu che l’intensificarsi per gravi ragioni geopolitiche e gestito in forme maldestre a livello continentale, di una pratica che muove e definisce l’umanità fin dalle sue origini?

 

Si sarebbe dovuto parlare piuttosto di “crisi dell’Europa”, poiché fu allora che emerse una carenza sostanziale del progetto politico chiamato Ue, costretto a confrontarsi, oltre che con un’ondata immigratoria di un’intensità senza precedenti, con la recrudescenza di un nazionalismo razzista e votato alla demagogia populista.

 

Di questo e molto altro tratta, in 130 pagine molto dense, il saggio autobiografico della scrittrice altoatesina Maxi Obexer, La prima estate dell’Europa (ed. alpha beta, Merano), nella riuscita traduzione di Cristina Vezzaro, bolzanina di madrelingua italiana oggi di stanza a Torino. L’edizione originale tedesca era uscita tre anni fa per l’editore berlinese Verbrecher Verlag e fu tra i finalisti del prestigioso Premio Bachmann.

 

La linea narrativa del libro è condotta su un parallelismo: l’itinerario verso nord e il percorso di «naturalizzazione» dell’autrice, che da altoatesina di madrelingua tedesca si è trasferita a Berlino e aspira alla cittadinanza, e quello, nello stesso Eurocity che corre verso il Brennero, di un gruppo di ragazzi immigrati che quella linea di confine non riusciranno a valicarla.

 

Il tragitto è pretesto per una serie di riflessioni, ritratti e rammemorazioni che toccano questioni nodali, dalla condizione straniera come premessa della scoperta di sé alla ricerca di una lingua che è strumento identitario, fino al dispiegamento senza ostacoli di un’omosessualità che non ovunque è dato di vivere liberamente.

 

Nel riportare esistenze di donne e migranti e nell’esporre se stessa in quanto donna di frontiera, cittadina italiana che in Germania stenta a farsi percepire come tale – quindi come straniera – a causa della propria madrelingua (non senza risvolti surreali in sede burocratica), Maxi Obexer decostruisce le narrazioni ufficiali sull’Europa e le sue virtù, mentre dà voce a ciò che la ricerca di se stessi è veramente, cioè partire, osare, aprirsi, mescolarsi con l’altro:

 

«La seduzione di Berlino non era forse la stessa delle montagne? Non mi spingevano entrambi ad andare, a proseguire, per arrivare da qualche parte o da nessuna parte, verso territori nuovi e inesplorati? Assaporando, durante il cammino, il piacere nascosto di giungere dove le coordinate si perdono, dove l’aria è tanto più rarefatta quanto maggiore è il desiderio di perdersi, smarrirsi, ai limiti estremi dell’estraneità, ai limiti estremi della libertà».

 

Tra i pregi del libro vi è quello di affiancare, al paradosso dell’estraneità dell’autrice “tedesca” in Germania, la rivendicazione alle condizioni minoritarie di un’esistenza politica che andrebbe considerata costitutiva della stessa Europa: quelle degli immigrati, appunto, che hanno fatto il continente non meno degli stanziali di lungo corso, quelle dei diversi orientamenti di genere, quelle delle regioni di confine e plurilingui come l’Alto Adige o la Valle d’Aosta: le varie forme di diversità che le narrazioni ufficiali tendono a rimuovere.

 

Non manca poi, come ha rilevato la traduttrice in una sua nota recente, la messa in luce della realtà altoatesina e della sua popolazione italofona: ai cliché del turismo tedesco che sembra dimenticare tutto un secolo di storia ed è incline a compiacere il sudtirolese di lingua tedesca con notazioni sulla patria perduta, Obexer oppone un senso del concreto che è anche lume di buon senso: «come si permettono di ignorare semplicemente quello che è successo e si è mosso in quasi cent’anni? Che è poi la vita vissuta quotidianamente da persone di lingua tedesca, di lingua italiana e di lingua ladina che condividono un’epoca sociale e politica». Per poi constatare: «Non sono i sudtirolesi tedeschi che oggi hanno bisogno di lealtà, ma gli altoatesini di lingua italiana e la loro storia, la loro immigrazione, la loro presenza, l’immagine che hanno di sé».

 

È una riflessione che a livello ufficiale viene certo recepita, ma resta spesso soffocata sotto la cappa localistica e monolingue dell’iniziativa pubblica – mentre è dove interviene una cognizione forte della diversità, come appunto nel libro di Obexer e nella sua traduzione da parte di un editore orientato a una progettualità translinguistica e interculturale, che possono nascere i dialoghi più fecondi.

 

Ma soprattutto è in quel «bisogno di lealtà» la chiave di ogni convivenza, poiché è lì che accoglienza e riconoscimento convergono in un’etica politica nobile, umana, la sola che porta davvero alla dignità dell’altro: il diritto di esistenza, parità e cittadinanza che insieme con l’altro si può condividere.

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