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L’innalzamento delle temperature spinge gli animali più in quota. L’allarme degli esperti: “Non è detto che riescano ad adattarsi ai cambiamenti climatici”

I cambiamenti climatici che stanno avvenendo sull’arco alpino stanno avendo un impatto importante sulla fauna locale, gli esperti sono preoccupati: “Queste condizioni pongono vari interrogativi sulla capacità degli ungulati e di altre popolazioni presenti nell’area dolomitica di adattarsi al progressivo aumento delle temperature”

Di Tiziano Grottolo - 15 June 2021 - 16:24

TRENTO. Sulle Dolomiti l’inesorabile innalzamento delle temperature sta spingendo alcune specie di ungulati verso altitudini più elevate, più in generale i cambiamenti climatici che stanno avvenendo sull’arco alpino stanno avendo un impatto importante sulla fauna locale. Si tratta di uno scenario inedito che apre non pochi interrogativi sulla futura capacità di adattamento degli animali alle crescenti temperature. Questo almeno è quanto emerge dallo studio pubblicato su “Ecology Letters”, una tra le più importanti riviste internazionali nel settore, dal titolo frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell'Università di Padova e il Dipartimento Biodiversità e Ecologia molecolare del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach.

 

La ricerca, coordinata Maurizio Ramanzin dell’Università di Padova e da Francesca Cagnacci della Fondazione Edmund Mach, è stata condotta dal 2010 al 2017 nell’area dolomitica della Marmolada su 24 femmine di stambecco in età riproduttiva. Grazie ai radiocollari i ricercatori hanno monitorato gli spostamenti degli ungulati, riuscendo a ottenere un quadro completo dell’ecologia e del comportamento di questa specie in dipendenza dai fattori ambientali.

 

Durante l’inverno le femmine di stambecco rimangono a quote relativamente basse, circa 1700 metri, con attività alimentare e spostamenti molto ridotti – spiega Paola Semenzato, che ha condotto la ricerca durante il suo Dottorato di Ricerca all’Università di Padova – per poi incrementare notevolmente il tempo dedicato all’alimentazione in concomitanza con la fusione del manto nevoso e l’inizio della ricrescita vegetazionale, che a sua volta segue il gradiente altitudinale. Inizia così uno spostamento progressivo verso quote maggiori, fino ai circa 2600-2800 metri raggiunti in piena estate, per seguire questa ‘onda verde’ gli stambecchi riescono a sfruttare al meglio il foraggio ‘giovane’ e quindi di alto valore nutritivo, che trovano man mano che salgono di quota, rispetto a quello che troverebbero nelle aree di svernamento, dove la vegetazione è abbondante ma ‘invecchia’ presto”. A ottobre invece, con le prime nevicate, si assiste a una graduale discesa verso quote inferiori, negli assolati pendii coperti da lariceti che offrono un certo riparo durante i nevosi inverni dolomitici.

 


 

I ricercatori si sono concentrati anche sui ritmi di attività giornalieri estivi scoprendo che gli stambecchi modulano i picchi di attività alimentare in funzione della temperatura: nelle giornate più calde, gli animali si nutrono prevalentemente intorno all’alba e al tramonto, mentre trascorrono le ore centrali riposando a quote più elevate e fresche.

 

Lo stambecco adotta questi adattamenti comportamentali in risposta allo stress termico già a partire dai 14 gradi, che per la specie, particolarmente adattata ai climi freddi, rappresentano la soglia dello stress termico – ricorda Cagnacci – spostando gli orari di foraggiamento le femmine riescono a mantenere costanti le ore giornaliere dedicate all’alimentazione”. Questa capacità di compensazione non era stata rilevata prima da altri studi che, non disponendo della tecnologia Gps e quindi del monitoraggio anche notturno degli animali, avevano ipotizzato un effetto negativo dello stress termico sull’attività alimentare giornaliera dello stambecco. “Tuttavia, non è certo che rimanga efficace anche in futuro. Nel corso del nostro studio – prosegue Cagnacci – queste temperature sono state raggiunte per una media di 16 giorni durante l’estate. Secondo le proiezioni climatologiche, in pochi decenni questo valore soglia verrà superato per ben 50 giorni nel periodo estivo”.

 

Secondo gli scenari climatologici analizzati dagli autori sono quindi prevedibili ulteriori modifiche dei ritmi di attività degli stambecchi, che tenderanno a muoversi maggiormente nelle ore notturne, e a cercare di spostarsi sempre più in alto.

 

Eppure, come sostiene Ramanzin, è proprio qui che potrebbero nascere i problemi. “Nell’insieme queste condizioni pongono vari interrogativi sulla capacità di questa e di altre popolazioni presenti nell’area dolomitica di adattarsi al progressivo riscaldamento climatico. Lo spostamento verso l’alto è limitato dall’orografia tipica delle Dolomiti che sono caratterizzate da aree povere di vegetazione e pareti rocciose a quote relativamente basse, che offrono disponibilità di praterie d’alta quota dove gli stambecchi possono contemporaneamente alimentarsi e ripararsi dal caldo. Inoltre, l’esposizione sempre maggiore a giornate di caldo intenso potrebbe ulteriormente spostare i picchi di attività di foraggiamento in orario notturno. In queste condizioni – conclude Ramanzin – le femmine riproduttive, che hanno i capretti al seguito, potrebbero faticare a spostarsi e a reperire le risorse di cui hanno bisogno”.

 

Alla luce di queste considerazioni i ricercatori ritengono che studi di questo tipo dovrebbero essere condotti anche su altre specie presenti sull’arco alpino, in particolare su quelle esposte al rapido cambiamento climatico. In questo modo si potrebbero individuare tempestivamente i contesti di maggior criticità.

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