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"Mio figlio L. che vorrebbe essere un bambino ma (anche) una bambina". La madre Camilla ne parlerà domani per "Liberi e libere di Essere"

L'iniziativa lunedì al Muse alle 18.30 all'interno dell'evento organizzato da Arcigay in occasione della Settimana contro l'omofobia. "Per molti è difficile accettare qualcosa che non corrisponde a quello che ci si aspetta, ma prima di giudicare bisogna conoscere"

Di Donatello Baldo - 14 maggio 2017 - 19:21

TRENTO. Camilla è una mamma. Oggi è anche la sua festa. Ha tre figli, due maschi e una femmina. Di sette, otto e tredici anni. Il medio è gender fluid, è un bambino che vorrebbe essere (anche) una bambina.

 

Domani sarà a Trento, parlerà in occasione di Liberi e libere di essere, l'iniziativa di Arcigay per la settimana contro l'omofobia, alle 18.30 al Muse. Parlerà di suo figlio e soprattutto del suo blog che racconta la sua esperienza di madre, che parla della sua normalissima famiglia. A chi vorrà ascoltarla dirà anche questo, “che non è la persona non conforme che deve adeguarsi per proteggersi, non sono io madre che devo conformare mio figlio altrimenti lo espongo a sofferenza certa, ma sono gli altri che devono imparare a conoscere, capire e accettare”.

 

Una famiglia normale, quindi. Ma che cos'è la normalità?

Bella domanda, ma come faccio a descriverla? Io la normalità la vivo tutti i giorni, io ci sono abituata alla mia. Tutti i soliti problemi, le solite preoccupazioni. In più la seccatura di dover spiegare la diversità, di doverla giustificare.

 

Uno dei tuoi figli è gender fluid: parlami di questa normalità.

(Camilla ride) Arriva l'estate e il problema è il costume. Andiamo in Spagna, si andrà anche in spiaggia, spero. Ho chiesto a L. se avesse deciso quale mettere ma è scoppiato in lacrime: ho sicuramente smosso qualcosa, allora ho lasciato perdere. Poi il giorno dopo ho voluto tornare sull'argomento...

 

Ne avete parlato?

'Lo sapevo che saresti tornata alla carica”, ma ha detto. E poi: 'Che palle sempre con questa cosa maschio o femmina'. Eccola la mia normalità (E Camilla ride ancora divertita). Gli ho spiegato che non è colpa mia se i costumi sono o da maschio o da femmina. 'Tu c'hai ragione – gli ho detto – potrai essere un mix per tutta la vita e fare quel cacchio che ti pare ma per andare in spiaggia uno o l'altro costume lo dovrai mettere”.

 

Non è una decisione facile, ma comunque qualcosa che ti fa scontrare per forza con la realtà.

Anche se fai di tutto per essere libero hai comunque questa rottura di scatole del fuori, perché oltre alla famiglia c'è un mondo al di fuori di essa.

 

Oltre alla famiglia che protegge c'è la scuola, c'è la vita di tutti i giorni. Ma cosa c'è lì fuori che spesso non accetta un bambino come L.?

C'è l'incapacità di accettare tutto quello che non corrisponde a quello che la gente si aspetta, poi c'è una marea di gente che non ha nulla da fare e si impiccia degli altri, c'è gente annoiata che giudica, gente stereotipata, gente frustrata che se c'è qualcuno che liberamente si esprime invece di cogliere l'aspetto positivo ti dà contro a prescindere. Alcuni non riescono proprio a essere liberi e quindi devono condannare quelli che invece lo sono.

 

La diversità diventa così uno stress, qualcosa che si paga per l'incapacità degli altri che non riescono ad accettarla.

Certo, il problema è degli altri. L'anno scorso mio figlio ha avuto dei problemi con alcuni compagni a scuola. E mio figlio è un tipo che sa difendersi: ha sempre la risposta pronta, ha la fortuna di essere carismatico, di essere benvoluto dalle bambine e comunque rispettato anche dai maschietti. Non è mai isolato. Non gioca a calcio perché a calcio si rompe le scatole e preferisce i cavallini magici. Ma l'anno scorso...

 

Che cosa è successo? Qualcuno lo infastidiva e lo prendeva in giro?

Un gruppetto di bambini gli rompeva le scatole. L'ho scoperto dopo, lui rispondeva per le rime: 'Ma a voi che ve ne frega di come mi vesto, di quanto ho lunghi i capelli? Io a voi non ho fatto niente, quindi che vi importa?'. Poi mi ha raccontato tutto mortificato che li aveva menati, che non ce la faceva più a sopportarli. Allora sono andata a parlare con le maestre.

 

E cosa hanno detto?

Hanno detto che ha fatto bene, che loro gli alunni non possono mica picchiarli ma che in quel caso ha fatto benissimo a farlo lui. Ma non è così che si risolvono le cose, dico io. Mi hanno spiegato che avevano già avvisato i genitori dei bambini che lo infastidivano, ma non c'era stato nessun intervento da parte loro.

 

Maestre impreparate ad affrontare questi fenomeni, non credi?

Lo hanno ammesso, non sapevano che pesci pigliare. Volevano rivolgersi a una associazione, ma non ce ne sono. Non c'è uno psicologo della scuola. Non c'è nulla, c'è il vuoto. Mi hanno chiesto di parlare con il centro che che si occupa di disforia di genere. Come se nel caso del bullismo su un bambino obeso andassero le maestre a parlare con il suo dietologo.

 

Tutto questo aveva fatto male a suo figlio? Come stava in quel periodo?

Aveva sempre mal di testa, e io che credevo fosse per colpa degli occhiali che non voleva portare perché non 'fanno figo'. Invece somatizzava queste cose in questo modo. Lo psicologo dell'equipe del Centro lo avrebbe ascoltato volentieri, a L. lo avevo proposto ma mi disse una cosa che mi lasciò di sasso. Sai cosa mi disse?

 

Cosa ti disse tuo figlio?

'Mica ci devo andare io dallo psicologo, ci devono andare gli altri. Io non ho alcun problema a vestirmi come mi vesto, a fare quello che faccio, se gli altri hanno un problema ci vadano loro'.

 

Che bravo, che forza.

Io gli ho fatto l'inchino, mi sono chiesta come ho fatto a fare un bimbo così (e sorride ancora Camilla, orgogliosa). A sette anni aveva già capito tutto. Il problema sono effettivamente gli altri.

 

Gli altri, quelli che dividono il mondo in maschi e femmine, che non accettano nulla che non sia diverso dalla norma.

Questa cosa di dividere il mondo in maschio e femmine... pure io ci casco. Io stessa a volte divido il mondo o di qua o di là.

 

E lui giustamente dice 'Che palle, mamma'.

E ha ragione: ma uno, ma mio figlio, non può essere semplicemente quello che è?

 

Non lo dica a me, bisogna spiegarlo a tutti gli altri.

È anche vero che se non c'è un'informazione, una conoscenza... Io sono stata obbligata a capire perché mi è capitato, ma le informazioni mancano alle insegnanti, agli psicologi, a chi dovrebbe aiutarci. Prima di mio figlio credevo fosse uno sfizio, che fossero così quelli che per forza volevano fare gli alternativi, le persone che si volevano mettere al centro dell'attenzione.

 

E ti sbagliavi.

Perché non si sceglie di essere così. Non si sceglie nulla, si vive se stessi. Quindi cosa dovrei fare? Impedire a mio figlio di essere se stesso?

 

Il problema, dicevi, è l'assenza di qualcuno che sappia aiutare, soprattutto a scuola.

Nemmeno si sa che esistono ambulatori per la disforia di genere, non si vuole nemmeno farne pubblicità. Io ho cercato ovunque, mi sono rivolta all'estero, per poi scoprire che nella mia città c'era un centro specializzato. Ma non era nemmeno inserito nella pagina del Azienda sanitaria. Per paura.

 

Paura di cosa?

'Dobbiamo essere discreti', mi hanno detto, perché 'questo è un argomento delicato'. Questi hanno paura dei deputati che immancabilmente fanno interrogazioni in Parlamento, come è già successo. Hanno paura che li facciano chiudere.

 

E invece servirebbe parlarne, per aiutare le famiglie, per aiutare gli insegnanti ad affrontare queste situazioni.

Si è soli, e non sai come muoverti, non si sa a chi chiedere aiuto. E da soli ci si sente colpevoli, perché nessuno ti dice la verità, che tu mamma non hai nessuna colpa, che non è per come l'hai cresciuto che tuo figlio è così. Perché è questo che spesso ti senti dire anche da quelli che dovrebbero essere preparati, anche dagli psicologi. Giudizi senza fondamento che fanno male, perché la gente giudica senza nemmeno conoscere.

 

Sono sicuro che voi siete una bellissima famiglia, e tu una bravissima mamma. A proposito, auguri. Mi piacerebbe tornare a parlare di normalità, anche di quella che tuo figlio vive nel rapporto con i suoi fratelli.

Si menano dalla mattina alla sera, come tutti i fratelli del mondo. I due maschi sono nati vicini, credevo che sarebbero cresciuti giocando assieme. Ma uno è nato con le scarpe da calcio e il pallone in mano, l'altro invece gioca con le fatine.

 

E mai nessun pregiudizio, mai nessuna battuta. Perché i bambini, anche tra fratelli, sanno essere cattivi.

No, mai. Lo sanno (e ride ancora) che se dovessi sentire anche solo una parola sbagliata li abbandonerei in un centro di accoglienza... Anzi, lo str***o è proprio L.

 

E' lui il bullo?

Una volta il più piccolo si mise il suo pigiama rosa perché non ce n'erano altri. La mattina quando F. lo vide gli disse: 'Sembri una femmina'. E allora il piccolo mi guardò con gli occhi abbattuti, e mi disse proprio così: 'Certo che è proprio str***o, proprio lui, noi non gli diciamo nulla e è lui che offende'.

 

Che forza L., che tipo. Dimmi Camilla, com'è tuo figlio?

E' bello, è bellissimo. Sia da bambino che da bambina. E' forte, ha il fisico da giocatore di rugby ma una delicatezza incredibile. E' come il toro del cartone animato, Ferdinando il toro.

 

E Camilla racconta la trama. C'era una volta un piccolo toro che si chiamava Ferdinando. Tutti gli altri piccoli tori, suoi compagni, correvano, saltavano e si prendevano a testate. Ma non Ferdinando. Lui annusava i fiori.

 

Con il passar degli anni Ferdinando crebbe e crebbe, finché divenne molto grosso e molto forte. Tutti gli altri tori volevano combattere nell'arena di Madrid, ma Ferdinando no. A lui piaceva annusare i fiori.

 

Poi un giorno alcuni uomini andarono a scegliere i tori più grossi, veloci e feroci per la corrida. Tutti i tori iniziarono a correre, a saltare e a prendersi a testate affinché li scegliessero. Ma non Ferdinando, sapeva che non l'avrebbero scelto e non gl'importava.

 

Ma successe questo: per sbaglio si sedette sopra una vespa, e Fernando cominciò a correre sbuffando e muggendo come impazzito; i cinque uomini lo videro e urlarono tutti di gioia, lo portarono via su di un carro per il combattimento dell'arena. I

 

Il combattimento di Ferdinando venne annunciato in grande stile: ci fu la parata, i banderilleros, i picadores; poi arrivò il matador, e dagli spalti gli venne lanciato un mazzo di fiori. Arrivò il momento del toro, era Ferdinando, conosciuto come Ferdinando il feroce, e tutti avevano paura di lui.

 

Ma quando Ferdinando vide quei fiorellini corse in mezzo all'arena; tutti pensavano che si sarebbe battuto ferocemente, ma quando arrivò nel mezzo dell'arena, si sedette tranquillo ad annusare i fiori. Tutti erano furiosi, ma il matador era il più furioso, fece di tutto per convincere Ferdinando a combattere, lo supplicò, ma lui se ne stava seduto ad annusare.

 

Il matador era così infuriato che si mise a piangere perché non poté dimostrare la sua bravura. Così Ferdinando venne riportato a casa, e per quel che si sa, sta ancora là, tranquillo, sotto il suo prediletto albero di sughero, ad annusare i fiori.

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